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Cieco sordo muto

    Il nuovo film di Lorenzo Lepori, Cieco sordo muto, tra i lungometraggi in concorso alla quarantatreesima edizione del Fantafestival.

    Dal 4 all’8 ottobre si è svolta al Nuovo Cinema Aquila di Roma la quarantatreesima edizione del Fantafestival, rassegna dedicata a tutte le declinazioni del cinema fantastico. Il primo lungometraggio in concorso, proiettato giovedì 5 ottobre, è stato il nuovo film di Lorenzo Lepori, Cieco sordo muto (Italia, 2023, 80’), preceduto dal corto Ancient Lore (Germania, 2023, 5’), di Patrick Müller. I due lavori sono probabilmente stati associati in ragione del comune riferimento all’universo di H.P. Lovecraft. Al termine della proiezione c’è stato un breve incontro con i due registi. Patrick Müller è stato intervistato da Simone Starace, uno degli organizzatori del Fantafestival. Lorenzo Lepori, salito sul palco con l’attrice Simona Vannelli e lo sceneggiatore Antonio Tentori, dal giornalista Giacomo Calzoni.

    In Ancient Lore Müller sceglie di ricreare le atmosfere care allo scrittore americano tramite riprese di paesaggi, prevalentemente marini, con un interessante viraggio verde-rosso che ricorda i colori sfalsati delle pellicole scadute. Unica presenza umana è la voce fuori campo di Bernhard Plank che interpreta la poesia lovecraftiana Oceanus. In una manciata di minuti le immagini, la voce recitante e la musica riescono efficacemente a evocare le inquietudini del Maestro di Providence senza che nulla accada nel girato.

    Cieco sordo muto, di Lorenzo Lepori, si discosta nettamente dai precedenti lavori del regista toscano ed è liberamente tratto dall’omonimo racconto di HPL. Il protagonista, un uomo cieco, sordo e muto, trasferitosi in una casa abitata da forze ultraterrene, scrive a macchina le proprie percezioni e visioni, venendo trascinato assieme ai suoi assistenti in un vortice di follia e orrore. La trama è quindi poco più di uno spunto e la narrazione del progressivo scivolare nell’incubo, sul quale Lepori innesta le pulsioni dei fumetti erotici a lui cari, è interamente affidata alla capacità degli attori di esprimere l’invisibile, di dipingere sui propri volti l’orrore cosmico cui allude Lovecraft. Se è vero, come affermato dopo la proiezione da Antonio Tentori, che le opere dello scrittore americano sono tra le più difficili da trasporre al cinema, la scelta di ispirarsi addirittura a un racconto nel quale non avviene quasi nulla potrebbe sembrare folle e votata al fallimento.

    E invece il protagonista David Brandon, e i comprimari Simona Vannelli e Pio Bisanti, rispettivamente nei panni dello scrittore menomato e dei suoi due assistenti, malgrado qualche legnosità nei dialoghi all’inizio del film, riescono a materializzare l’angoscia dei personaggi ormai succubi delle entità che abitano la casa, attanagliati da incubi e visioni, assumendo comportamenti sempre più estremi. Con simili premesse il film non può che avere un andamento lento, più simile a un horror giapponese che a uno americano, con una grande importanza affidata alla bella fotografia di Federico Giammattei.  Notevoli le musiche che accompagnano l’intera durata del film con una grande varietà di atmosfere, composte anch’esse da Federico Giammattei assieme a Marcello Simini e Alessandro Michelini.